MUSEO NAZIONALE DEL CASTELLO MALASPINA
Strada del Torrino 1/3 Bobbio (PC)

 

Nei mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre il Castello sarà aperto al pubblico dal:

giovedì al lunedì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17

 

A partire da sabato 11 gennaio 2020 la gestione del Castello Malaspina di Bobbio è passata al Comune di Bobbio.

Per informazioni rivolgersi allo IAT di Bobbio:

Piazza San Francesco

29022 Bobbio

tel.  349 8088159 oppure 0523962815 

fax 0523936666

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Web & social: 

https://www.facebook.com/Pmero.CastelloDiBobbio/

 


 

 


 

Ingresso:

- adulti €. 2,50

- minori (da 7 a 18 anni, over 65 e gruppi oltre le 10 persone)

€. 1,50

- gratuito per i minori da 0 a 6 anni

 

CASTELLO MALASPINA DAL VERME DI BOBBIO 

 

FOTO BOBBIO

Le fonti

La documentazione storica relativa all'antico maniero che fu dei Malaspina quindi dei conti dal Verme in Bobbio non è eloquente delle singole fasi costruttive. La storiografia riferisce che la costruzione originaria ebbe inizio nel 1304 nella parte alta di Bobbio ad opera di Corradino Malaspina, primo "signore" della città, forse in collaborazione con Visconte Pallavicino. La struttura e le proporzioni originarie del fortilizio erano inferiori a quelle attuali, derivanti da progressivi ampliamenti nel corso dei secoli. 

Un inventario dei beni del Monastero di S. Colombano, del 1722, conservato nell'Archivio Malaspina, attesta la presenza, precedentemente al 1300, di un castello e torri in Bobbio. Un atto del 5 novembre 1219, riportato da Artocchini-Maggi, cui si deve il primo studio sull'architettura dei castelli del piacentino (1967, p. 163; 1984), parla di una "braida de castello", senza ulteriori specificazioni. E' probabile che a quell'epoca risalissero anche le mura del borgo, come si evince da un atto di investitura dell'abate di S. Colombano, nel 1230, a certo Caccia, di un appezzamento di terra posto "presso il muro della città". In un documento del 1257 viene menzionata una casa posta nelle vicinanze di "Porta nuova", la contrada che oggi identifica via Garibaldi. 

Nel 1285 il cenobio bobbiese autorizzava l'alienazione di terre ubicate fra le mura e il rio Gangarolo, in località Torrino, toponimo che ricorda la presenza di una antica torre. 

Maggi e Artocchini riferiscono di un atto del 24 ottobre 1285 nel quale è menzionata  la vendita di una casa posta "in terziero de castello". Gli stessi studiosi suppongono che il primitivo insediamento fortificato sia stato ammodernato nel 1304 -1305 per volere del marchese Corrado Malaspina, allora signore di Bobbio. Nella seconda metà del Trecento, quando Bobbio era sottomessa ai Visconti, le antiche mura furono restaurate dai capimastri Lanfranco e Guglielmino i quali ricevettero dal comune un pagamento per avere completato le fortificazioni fino all'altezza del vicolo "della Noce". 

Nel 1360 Galeazzo Visconti dona il maniero alla nuora Isabella di Francia, sposa del figlio Gian Galeazzo. Si dovrà attendere il 1436 per assistere al passaggio del castello fra i beni dei conti Dal Verme e, più precisamente, di Luigi Dal Verme, nominato conte da Filippo Maria, ultimo duca Visconti. L'assetto attuale del castello sembrerebbe infatti potersi ricondurre alla volontà di un suo discendente, Pietro Dal Verme, che intervenne nel 1440. Alla sua morte, nel 1485 tutti i suoi beni furono confiscati dalla Camera Ducale, che nel 1487 li concesse a Galeazzo Sanseverino, marito di Bianca Sforza. Da questa concessione furono esclusi Bobbio e il castello, perché ritenuti del patrimonio ducale. 

Durante l'assedio di Ludovico di Lussemburgo, nel 1500, Eleuterio e Pier Antonio dal Verme persero il castello e ne rientrarono in possesso solo cinque anni più tardi, ma da quella mantennero la proprietà per poco tempo, fino alla discesa in Italia di Francesco I il quale, nel gennaio 1516 cedeva i castelli vermeschi a Galeazzo Sanseverino. Nello stesso anno il re gli assegnava anche Bobbio, elevandolo in marchesato. Anche il dominio del Sanseverino ebbe breve durata, poiché nel 1521 i Dal Verme furono reintegrati nei loro tradizionali possessi, Bobbio compreso, ricevendo ulteriori investiture ducali e imperiali.

Nella divisione dei beni vermensi avvenuta nel 1530, Bobbio toccò al conte Federico, mentre nelle successive divisioni del 1545 passò al figlio Gian Maria, capostipite della linea dei conti di Bobbio. 

La trasformazione dell'antico, austero maniero in elegante dimora, che le fonti datano al 1545, si deve allo stesso Gian Maria Dal Verme. Una consistente campagna di lavori dovrebbe risalire alla metà e poco oltre del Cinquecento. Infatti il dislivello che intercorre fra l'attuale accesso e il piano di appoggio del muro a scarpa, alto circa 3 metri, può lasciare supporre che al piano terreno fossero in origine presenti alcuni ambienti oggi non più praticabili. 

Nel manoscritto Anguissola 26 conservato alla Biblioteca Comunale Passerini-Landi di Piacenza, eseguito nel 1625 da Alessandro Bolzoni (1547-1636), tecnico della Comunità di Piacenza e architetto della Congregazione della Politica et Ornamento, sono rappresentati tutti i castelli posseduti dalla casa Anguissola nel 1422. Vi compare anche Bobbio Città. Bolzoni, che fu anche un abile cartografo e agrimensore, rappresenta il borgo difeso da un'alta cinta di mura, dotata di quattro torri angolari, alcune chiese e un edificio turrito. La sua intenzione non era quella di offrire un vero e proprio "ritratto di città", in quanto, pur delineata dal tracciato delle mura e delle torri con le principali costruzioni, risulta priva di una rete stradale e non si comprende la densità delle aree edificate.

Altri lavori dovettero svolgersi entro la prima metà del XVIII secolo, fino a quell'epoca infatti vi abitò questo importante casato. Con la morte di Carlo Dal Verme, nel 1759, si estinse il ramo bobbiese della famiglia e il castello unitamente ad altri beni pervenne ai Dal Verme di Piacenza, nonostante la ferma opposizione del vescovo di Bobbio, il quale aveva preteso, peraltro senza esito, la restituzione di tutti i feudi vermensi che, a suo parere, spettavano all'episcopato bobbiese. 

Fra la seconda metà del Settecento e i primi anni del secolo successivo il fortilizio conobbe una fase di decadenza. L'analisi condotta sulla cospicua documentazione conservata nell'Archivio dal Verme, depositato presso l'Archivio di Stato di Verona, non ha purtroppo dato riscontri positivi in relazione alle singole fasi costruttive. Il materiale documentario infatti, pur relativo a Bobbio e alle terre dei Dal Verme, riguarda principalmente diritti di caccia, carteggio di alcuni membri della famiglia con il conte Bogino, a Torino, primo segretario di guerra di S.M.S., nonché scritture inerenti piccoli lavori al castello ("riduzione delle finestre che erano alla sommità del dongione in cannoniere... costruzione d'un nuovo forno, de tellari delle finestre mancanti, colla formazione di diversi condotti che allontanano l'acqua a cui erano sottoposti i sotterranei...") resisi necessari dopo l'occupazione delle soldatesche, che vi avevano alloggiato dal novembre 1748 all'11 giugno 1749.

Truppe francesi occuparono il castello dopo la battaglia del Trebbia nel 1799, ma per poco tempo poiché furono cacciati dalle forze della Seconda Coalizione (austriaci e russi). Diverse sono le lettere nelle quali si citano i "gravi danni" subiti dal conte, derubato dei mobili dalle truppe che avevano danneggiato anche "la vigna, i giardini e siti annessi". Dal carteggio si evince che erano stati spogliati di tutto il legname il giardino e la vigna, e che avevano subito danni la cucina del castello e i suoi arredi. A quell'epoca il castello era dotato di ponti levatoi sui fronti nord e ovest e del fossato, riempito nel corso dell'Ottocento. 

Nel 1805 i conti dal Verme alienarono il fortilizio con le terre annesse all'avvocato Paolo Della Cella, esponente di un'antica famiglia piacentina la cui lunga genealogia è dipinta su una grande tela ovale, del XVIII secolo, conservata in una delle sale del secondo piano del castello. Una nipote di Paolo Della Cella, Irene, alla fine del XIX secolo portò in dote il castello all'ing. Eugenio Piccinini, al quale si devono numerosi e non sempre pertinenti interventi di restauro. Irene Della Cella Piccinini è la madre dell'ultimo proprietario, Riccardo Piccinini, che alienò il castello allo Stato, attuale proprietario.  

L'architettura

 

Il castello Malaspina Dal Verme, sottoposto a disciplina di tutela diretta per effetto del D.M. 15.11.1956, e a tutela indiretta a seguito del D.M. del 19.02.1965, è una struttura fortificata costituita da più corpi di fabbrica racchiusi entro la cinta muraria interna in pietra. Attualmente il castello presenta la sola cinta muraria interna, essendo stata quella esterna demolita, unitamente al torrione di Porta Nuova, nel 1858, quando si aprì il rettifilo detto di Porta Nuova. Sui lati nord ovest e nord est della cinta muraria sono visibili le tracce dei due ponti levatoi. Al fortilizio si accede da due ingressi, entrambi posti a nord. All'interno del sistema murario si erge il mastio, su pianta quadrangolare, originariamente fornita di una sola porta, in asse al ponte levatoio di nord ovest. Il mastio presenta una muratura in pietra sbozzata apparecchiata con disegno pseudo isodomo. In corrispondenza del coronamento è situata la serie di finestre, cinque sui alti nord e sud, quattro sui lati est e ovest, ora concluse da archetti a piatta banda modestamente inflessa, ma che in origine costituivano i vuoti intercalati tra un merlo e l'altro.

 

Sul lato ovest del fortilizio si individuano resti di quella che è indicata come torre del Vescovo. Sul lato est, in angolo del muro di cinta, è presente una torre circolare, dotata di due ambienti, il primo, coperto da tetto conico a livello del terrapieno del castello, il secondo, ipogeo, coperto da volta a padiglione, cui si accede attraverso una scala esterna addossata alla parte esterna della torre circolare. A nord ovest si conserva l'antico pozzo.

Due gli ingressi che consentono l'accesso al mastio, rispettivamente ricavati a sud est e a nord ovest. Sui fronti del mastio al di sotto della linea delle merlature, corre una cornice orizzontale costituita da una serie di fori rettangolari che presumibilmente in origine dovevano consentire il deflusso dell'acqua piovana dai retrostanti camminamenti di ronda, risalenti alla fase quattrocentesca del castello.

Su questo stesso fronte si aprono un ingresso al salone del primo piano, accessibile da una scala esterna a rampa unica in pietra, e una porta finestra, dotata di balconcino con ringhiera in ferro battuto, che dà luce al salone. La struttura della torre reca un'alta base a scarpa.

L'articolazione e la distribuzione degli ambienti interni del mastio, il cui primo piano risulta notevolmente rialzato e molto trasformato rispetto all'originario presupposto assetto, soprattutto a seguito degli interventi promossi dall'ultimo proprietario tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, si presenta piuttosto funzionale. Qui si aprono l'atrio di ingresso, con pavimento di legno intarsiato, una sala e un salone dotato di un grande camino in pietra sormontato dalle armi della famiglia Dal Verme. Su questo stesso piano si aprono anche alcuni locali di servizio, ricavati nel corpo addossato al lato nord ovest. Sulla parete lungo la scala che conduce ai piani superiori, è un affresco staccato, riferibile al XVI secolo, raffigurante una Madonna con Bambino

 

Al secondo piano si aprono altri ambienti intercomunicanti, fra i quali un salone, coperto da volta a botte, arredato con mobili in stile. Gli ambienti di questo piano, ove si aprono anche la camera da letto, un salotto, uno studiolo e una sala con camino, hanno pavimenti in legno a intarsio. Uno stemma vescovile con la croce dei Lorena è affrescato sulla rampa di scale che conduce al terzo piano. Qui una grande sala, con volta a botte, riceve luce da una sola finestra, ed è dotata di camino; seguono due ambienti comunicanti. La rampa che conduce al quarto piano reca ancora resti di affreschi e uno stemma vescovile con la croce di Lorena. Il quinto piano, oggi caratterizzato da quattro possenti pilastri, tutti di recente fattura, probabilmente delimitato in origine da murature merlate, è illuminato da una serie di finestre rettangolari alcune delle quali sono state ricavate dai vuoti interposti tra i merlo e l'altro. 

Un intervento di restauro e di consolidamento è stato condotto nel 1973 e ha comportato il rifacimento di tutti gli intonaci, dei pavimenti, della copertura, il consolidamento delle strutture e di parte della scala. 

Fonti: Archivio di Stato, Parma, Mappe e disegni, vol.66, mappa 131; Archivio di Stato, Verona, Archivio Dal Verme.

Archivio Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici per le prov. di Parma e Piacenza, PC/M225; Archivio lavori, castello di Bobbio.

Biblioteca Comunale Passerini Landi, Piacenza, Ms. Anguissola 26, Alessandro Bolzoni, Albero genealogico della famiglia Anguissola 1625.

Bibliografia: I. Repossi, Pagine di storia bobbiese, Piacenza,1927; E. Mandelli, Bobbio, piccola guida storico artistica, Piacenza 1962; S. Maggi, C. Artocchini, I castelli del piacentino, Piacenza 1967;G. Fiori, Bobbio e  i Dal Verme, in "Archivio Storico per le prov. parmensi" 1987; M. Pizzo, Bobbio nell'alto cuore del medioevo, Reggio Emilia 2004; A. Còccioli Mastroviti, Città e territorio nella cartografia (secoli XV-XIX), in Il visibile racconto del mondo. Atlanti e libri di viaggio della Biblioteca Comunale Passerini Landi a cura di M. Pigozzi, Piacenza 2008.

(a cura di Anna Còccioli Mastroviti)